Dopo la ratifica degli Accordi di Dayton, nel cuore dei Balcani restano ferite profonde. L'artiglieria che per quattro anni ha tenuto sotto scacco Sarajevo, cercato di spezzare la strenua resistenza di Gorazde e raso al suolo Vukovar, oggi tace. Dei campi di concentramento in Republika Srpska e in Erzegovina e dei tuguri dove si sono consumati gli stupri etnici di massa restano solo vuoti e lugubri contenitori in pietra. Le testimonianze della vergogna sono state nascoste o cancellate. Eppure, nell'aria, i fantasmi di un passato da incubo continuano ad aleggiare sui resti di uno stato-fantoccio a "tre teste". I conti col passato devono ancora essere saldati e forse non si arriverà mai a una piena giustizia. E l'aggressione alla terra di Bosnia, col tempo, rischia di scomparire dalla memoria. Questo libro on the road punta a tenere accesa la luce su una delle pagine più tristi della storia del Novecento. E a fornire un contributo di chiarezza sulle responsabilità, rifiutando l'assioma "tutti colpevoli, nessun colpevole".
"Ricordo una parola ricorrente: sumnja. Significa sospetto e racchiude da sola il senso di una guerra sanguinosa, infinita, sporca, seguita subito dopo da un'altra parola che ne è stata la conseguenza: osveta, vendetta. Centinaia di migliaia di morti. E anche adesso, forse, dolorosamente, solo una pace finta". (Pino Scaccia)
"Curzi ci ricorda che in guerra non è scontato che i buoni stiano tutti da una parte e i cattivi dall'altra e che frasi come 'le responsabilità vanno ripartite in modo condiviso' costituiscono l'anticamera del negazionismo". (Riccardo Noury)
"In Bosnia è un libro da leggere e rileggere, è un reportage di alto livello giornalistico che dovrebbe essere studiato nelle stesse scuole di giornalismo". (Luca Leone)